BOLOGNA — Torna a teatro nella stagione 2021-22 la Divina Commedia Opera Musical, a Bologna dal 10 al 12 dicembre all’Europauditorium. In attesa dello spettacolo abbiamo incontrato il regista Andrea Ortis, che impersona anche Virgilio. Quella che segue è la nostra lunga chiacchierata in veste di intervista.
***INTERVISTA AL REGISTA ANDREA ORTIS***
Siete partiti dal “testo dei testi” — qualcosa di grande e ingombrante — e l’avete fatto confluire in un musical, a sua volta, “grande ombrello” che raccoglie sotto di sé tutti i linguaggi teatrali. Com’è stata questa esperienza, che non sembra facile e immaginiamo sicuramente complessa?
Assolutamente sì. Ha detto bene: ingombrante certamente. Anche troppo, nel senso che parlare di Dante e della Divina Commedia, qui in Italia, si associa spesso all’aggettivo “pesante”. Otto persone su dieci dicono questo, oggi. Ed è la cosa più lontana dalla verità. L’idea, dietro a questo allestimento teatral-musicale, è proprio quella di realizzare un musical perché nel musical si mischiano i tre linguaggi: canto, prosa e musica, anche se la nostra è una “pelle” tendenzialmente operistica, più in linea con i canoni dell’opera italiana ottocentesca. Il nostro grande desiderio era quello di togliere di mezzo l’idea che questo poeta (Dante ndr) sia un poeta da piedistallo: aggrottato, accigliato e decisamente “arrabbiato”.
Eh, ma ne aveva ben donde!
È vero ma non è solo quello. Soprattutto Dante non è un uomo da piedistallo. E la linea narrativa sulla quale abbiamo lavorato e su cui ho costruito tutto il mio paesaggio registico riguarda la sua genialità, che lo porta ad attingere dal difetto. La selva è come una miccia che lo porta a fare una lunga terapia. Mettendo ogni spazio, ogni campitura non riempita del suo proprio testo e sottotesto, a disposizione di tutti. Ciò detto abbiamo creato un allestimento che parla soprattutto dell’uomo. Dell’uomo-Dante che sta dietro alle quinte e della genesi di tutto ciò che poi è diventato Divina Commedia, anche se chiaramente in una forma riassunta. Poi un altro capitolo importante è questo: di fatto, noi conosciamo abbastanza l’Inferno, essendo anche più comprensibile, ma Purgatorio e Paradiso?
L’Inferno, con le sue colpe ed espiazioni, ci sembra decisamente umano. La gente lo ricorda sempre meglio. Con la spiritualità e le beatitudini del Paradiso facciamo più fatica a confrontarci.
È vero. Solo che se uno va a leggere il Purgatorio scopre che è tutto meno che spirituale: è un ambiente amichevole e amicale. Gli stessi poeti di quel tempo non sono gente da “penna e lume di candela”, è gente di taverna. Ci ricordano il moderno cantautorato degli anni ’60-’70, sono i Dalla e i Guccini omologhi di Dante, Guido Guinizzelli e i loro amici. E quando penso a Cyrano, scritta da Guccini, penso che una canzone così, oggi, la scriverebbe proprio Dante, perché c’è l’attacco ai politici, agli artisti che si vendono, alla Chiesa. Rossana di Cyrano è la stessa che, come Beatrice per Dante, lo rappresenta e in un qualche maniera lo eleva. Ecco, i poeti di allora erano in qualche modo dei cantautori. C’era sempre una base musicale sotto la loro opera, anche se si trattava di poesia. Tornando a Dante, la selva oscura rappresenta per lui il male oscuro o — come è probabile che fosse — la malattia moderna della depressione. Su di lui, costretto all’esilio, incombeva la pena di morte. E questo lo ha portato verso una forma di chiusura, verso l’oscurità. Che cosa dunque poteva fare per uscire da questo buio? L’unica soluzione era la compagnia, poter dire qualcosa a qualcuno. E se tu vuoi dire qualcosa a qualcuno, hai la necessità di essere compreso, quindi è ovvio che usi la lingua di tutti e non il latino. E la lingua di tutti allora era il volgare, la lingua del commercio, dei mercanti, del popolo. Ecco perché erano comprensibili a tutti i suoi termini.
Non a caso i contemporanei, anche gente del popolo, recitavano i versi di Dante, magari storpiandoli. Quali interventi avete ritenuto prioritari nel portare in scena l’opera?
Noi abbiamo cercato di abbattere un po’ di steccati. Ad esempio, quando noi sentiamo leggere la Divina Commedia dagli attori, oggi, notiamo come spesso Dante venga letto in maniera caricata. Da una parte, e fortunatamente, siamo tutti ancorati a Gassman che l’ha recitata mirabilmente ma in quanto attori siamo sempre tutti pronti a caricare, a ridondare. Dante ha bisogno di tutto tranne che di questo, ha bisogno di una restituzione e di umanità. Dunque noi ci abbiamo messo piuttosto energia e passione. Con tutta la passione e l’energia che c’è dentro, questo allestimento non a caso è diventato trasversale: e lo stesso spettacolo a cui partecipano dantisti ottantenni la sera è lo stesso che hanno visto in teatro ragazzini di 9 anni, la mattina. Io non ho voluto fare riduzioni. Lo spettacolo è sempre di 2 ore e 10, con lo stesso testo — di cui l’80% è cantato e originale — con gli stessi passaggi. Ed è straordinario vedere come i ragazzi colgano alcuni aspetti, si incuriosiscano ai personaggi di Catone o Francesca e poi, se vogliono conoscerli meglio, finiscano con l’andare a procurarsi i testi su di essi da Feltrinelli. Questo io trovo che sia straordinario.
È un’operazione culturale importante. Quando all’inizio si diceva che “Dante è pesante” in realtà tutto dipende da come si veicolano gli argomenti. Non trova?
Il veicolo di cui parla Lei è sempre la passione. Noi amiamo certe materie se chi ce le ha insegnate ce le ha trasmesse con amore. Non tanto il contenuto di quelle materie, quanto il modus di trasmissione. Io ho avuto un’insegnante di letteratura straordinaria, e credo che la scuola possa trovare nel teatro non un sostituto, ma un fido collaboratore.
Il teatro è lo specchio della società da sempre. È per questo che riesce a stare a passo coi tempi e a dialogare con la contemporaneità?
Assolutamente. Peraltro il teatro è una sorta di digestione intellettuale. Rispetto a molti fatti, come lo è la letteratura o come lo sono certi testi. Non a caso oggi il filone dei grandi eventi si sta esaurendo: c’è una decadenza in atto profonda e per questo sembra esistere solo il filone comico, per il quale si è anche spesso disposti a pagare 80 o 90 € per il biglietto.
Concordo, il teatro è lo specchio del suo tempo. Citando Oscar Wilde, la nostra rabbia ricorda quella di Calibano che vede il proprio viso riflesso nello specchio. Lei però è anche un interprete: è Virgilio.
Sì, sono un Virgilio nuovo e riletto. Nel senso che è evidente che per Dante Virgilio è una figura classica e possiamo, forse senza timore, dire che se non ci fosse stata l‘Eneide, probabilmente non ci sarebbe stata nemmeno la Divina Commedia. Sappiamo che Dante attinge da Virgilio e da lui prende tantissime cose, come ad esempio la figura dello stesso Caronte, ma attinge anche da molti miti del mondo classico di Ovidio o da Lucano. E Virgilio in particolare è il suo autore, Dante stesso lo definisce così.
Certo è però che in questo viaggio teatrale in cui Virgilio fa da guida a Dante, Virgilio acquisisce anche dei caratteri umani: non è solo la figura integerrima sempre pronta a dare una risposta, ma anche altro: io l’ho calato in una dimensione più umana. Dante e Virgilio dopotutto sono due viaggiatori in un sentiero di montagna che campeggiano e dormono assieme nella Valletta dei Principi perché la legge del Purgatorio non consente a Virgilio di proseguire il cammino, che cadono mille volte ma che si rialzano altrettante volte e che superano mille difficoltà. Be’, poteva rimanere scevro, quest’uomo, pur l’uomo che rappresenta la ragione, da un affetto? Da un affetto profondo, nei confronti di un altro uomo? Quindi c’è tutto questo capitolo umano e Virgilio, in alcuni momenti, non è sempre pronto a dare delle risposte efficaci ma piuttosto si lascia andare a dei silenzi, e questo dà luogo alla costruzione di un viaggio molto umano, vero, carnale, muscolare, che si traduce in un dialogo fondato non su due livelli separati ma su occhi che si incrociano. Tanto più che il momento dell’addio di Virgilio nello spettacolo è un momento fortemente drammatico: perché è il momento in cui, se vogliamo, un padre dice al figlio: “ok, vai, puoi andare” ma dentro di sé sente lo strappo della separazione.
E per quanto concerne gli altri personaggi?
Questo veicolo narrativo–drammaturgico lo abbiamo calibrato un po’ su tutti i personaggi. Certo la Divina Commedia Opera Musical è chiaramente un riassunto rispetto all’opera originale, e in quanto riassunto riprende i personaggi più rappresentativi: Caronte, Paolo e Francesca, Ulisse, Pier delle Vigne, Ugolino, Catone, Pia de’ Tolomei, Beatrice, insomma i personaggi più emblematici. Però in tutti loro viene messo in risalto l’aspetto umano, e come diceva Lei: i personaggi-specchio sono specchio di Dante ma di fatto diventano, nella straordinaria modernità della Divina Commedia, lo specchio del pubblico.
Parliamoci chiaro: le storie di Francesca e di Pia de’ Tolomei sono femminicidi del ‘300 e le platee vivono o sono piene di Pia de’ Tolomei e di Francesca. Non solo. Sono anche piene di Ugolino, che non è una deriva alla Hannibal Lecter quanto piuttosto un uomo che si rode dentro. Perché quel figliolo che gli tira la tunica e gli chiede: “perché non fai niente papà?”… be’, insomma, Ugolino è un uomo della nostra società di oggi, solo e sconfitto, o incapace di assicurare ai propri figli un futuro.
Quanto ancora di moderno si può ritrovare nella Divina Commedia?
Lo stesso Dante e il suo amore per Beatrice o la stessa storia di Pier delle Vigne, che per via delle malelingue o di uno scriteriato gossip, altra malattia moderna, si suicida. E quante sono le storie di uomini onesti finiti male per colpa delle malelingue? La modernità di Dante è proprio questa, fra le tante cose, è il riflesso che ogni volta questa storia da, intercettandolo nelle platee, delle stesse virtù e degli stessi vizi che vengono rappresentati nella Divina Commedia. E che sono gli stessi del mondo d’oggi. Quindi è questo aspetto umano che “emoziona” il pubblico, benché l’emozione sia un capitolo da usare con criterio: tutto oggi ci emoziona. È facile piangere. È facile ridere. Ma il tempo di durata dell’emozione è un tempo breve. La passione invece no. La passione è un capitolo insistente. Si dice che sia sorgiva, esiste in noi sempre. Ecco, questo spiega anche come mai la Divina Commedia Opera Musical stia andando avanti ormai da cinque anni nonostante l’allestimento dello spettacolo sia talmente imponente, con un cast di 60 persone, da sembrare quasi anacronistico. Soprattutto se pensiamo alla situazione che vivono i teatri di adesso. Si è voluto fare un investimento culturale, in primis, e non economico, un po’ come facevano i mecenati nel Rinascimento che davano, soprattutto, una rivalutazione artistica. E di questo ringrazio infinitamente la famiglia Gravina e Lara Carissimi.
INFO
Divina Commedia Opera Musical
Dal 10 al 12 dicembre 2021 a BOLOGNA al teatro Europauditorium.
Tutte le date del tour qui.
BIGLIETTI ONLINE: ticketone.it/divina-commedia-opera-musical o presso le biglietterie dei singoli teatri.