Carmen con Rossella Brescia e Roma City Ballet Company | INTERVISTA AL COREOGRAFO LUCIANO CANNITO

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BOLOGNA — Arriva al Teatro Celebrazioni di Bologna il 13 marzo 2022 l’inedita Carmen del Roma City Ballet Company, interpretata da Rossella Bresciacon la coreografia di Luciano Cannito.

Spettacolo già vincitore di diversi premi, campione d’incassi in Italia nonché vincitore del Biglietto d’Oro, Carmen ha ottenuto nel 2011 il Premio Positano e il Premio Ginestra d’oro. E ha inoltre ottenuto il Premio Danza & Danza per la Migliore Colonna Sonora.

Nella cultura occidentale, il nome di Carmen è sinonimo di donna libera, spregiudicata e ribelle, protagonista senza uguali del proprio destino. Nel bene e nel male, Carmen è una donna di gran carattere ed è dotata di un forte senso di indipendenza. Questo, se da un lato affascina, dall’altro incute spavento. Femme fatale della letteratura francese, il personaggio di Carmen, uscito dalla penna dello scrittore Prosper Mérimé, incontrò una fama senza pari grazie alla musica di Bizet. La versione di Carmen che approda al Celebrazioni mantiene intatte le qualità intrinseche della protagonista e della trama, concedendosi alcune libertà sulla partitura e soprattutto calando la vicenda in epoca contemporanea. Il setting, decisamente diverso rispetto quello andaluso originale, rende più attuale che mai la vicenda: l’opera è infatti ambientata a Lampedusa, torrida isola del Sud per la ricca e annoiata Europa, mitico Nord per centinaia di disperati e profughi in fuga chissà da dove. Tra questi Carmen, che può essere oggi siriana, curda, afghana, pakistana o sudanese, ma soprattutto è e rimane — come nell’opera originale — una donna che non ha paura di rischiare tutto per la propria libertà.

Di queste scelte parliamo con il coreografo Luciano Cannito, che incontriamo in anticipo sulla data bolognese dello spettacolo.

*** INTERVISTA AL COREOGRAFO LUCIANO CANNITO ***

Una partitura ottocentesca e una storia nota, ma questa è una Carmen un po’ diversa. Qual è stata la molla che ti ha portato a raccontare Carmen in un’altra maniera? 

Innanzitutto, secondo me, i classici si chiamano classici e lo diventano perché sono universali, sono cose che non hanno più tempo. Punto numero due, Carmen l’ho fatta già parecchi anni fa quando stava succedendo qualcosa nel mondo di strano e particolare — io lavorando in tutto il mondo ho percepito la cosa in maniera diversa rispetto a chi vive sempre nello stesso paese — cioè c’erano dei flussi planetari che si stavano muovendo ed erano ineluttabili. Masse di popolazioni che si spostavano da un posto all’altro esattamente come è sempre accaduto nei momenti di crisi o di difficoltà. Sono flussi storici che hanno una durata ben più lunga di alcuni anni. Quindi mi è venuto in mente di pensare che tutto quello che Mérimé e Bizet avevano scritto in quell’opera famosissima, sembrava ricalcare  quello che succedeva sotto i nostri occhi: ovvero barconi che arrivano dai “sud del mondo” ai “nord del mondo”, muovendosi cioè verso paesi più fortunati. E che questa donna sarebbe potuta sbarcare benissimo a Lampedusa, che il brigadiere dell’opera di Bizet poteva essere benissimo il maresciallo dei carabinieri e che il torero, una figura iconica, un macho, un maschio alfa dominante, poteva essere benissimo uno scafista, una di quelle persone che convogliano su di loro tutta una necessità di attenzioni. Ho messo in scena questi tre elementi e ho visto che tutto funzionava perfettamente, nel senso che la musica, l’ansia, la gelosia, l’amore e tutto ciò che caratterizza l’opera sono sentimenti universali. Naturalmente, non potevo usare solo la musica dell’opera lirica, quindi gran parte della musica è stata scritta da Marco Schiavone. L’apporto di Marco è stato rilevante, tanto che la colonna sonora ha vinto anche un premio. La “sfortuna” poi ha voluto che questa storia continuasse ad essere molto attuale. Mai come in questo momento vediamo che la storia continua: abbiamo oltre un milione e mezzo di profughi che stanno scappando dall’Ucraina. È brutto doverlo dire ma Carmen continua a essere una rivisitazione attualissima di ciò che avevo già creato nel 2001.

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L’arte è sempre profetica: anticipa spesso situazioni che si avvereranno poi.

Eh sì, perché è una cartina al tornasole: se sei sensibile alle cose che succedono intorno a te, le cose poi, per forza, ti toccano l’anima.

Quando si creano opere di questo tipo si pensa a un’immagine di danzatore particolare, oppure no?

Nel 90% dei casi mi ispirano la musica ma anche il racconto della storia. Io non sono solo soltanto un coreografo, a me piace vedere la danza a 360°, come un racconto di storie. Per me l’interprete è funzionale al racconto. Tant’è vero che la Carmen è stata interpretata da tantissime star internazionali. Quello che invece è successo con Rossella è stata una cosa particolare, non te lo posso negare. Innanzitutto io ho conosciuta Rossella grazie a Carmen e poi la nostra è diventata una storia di vita. La invitai per ballare questo balletto al Teatro Massimo di Palermo, e volevo fare qualcosa di diverso, dovevo riproporlo in un grande spazio all’aperto, per la stagione estiva, che ha 3000 posti di capienza. E avevo bisogno di qualcosa di diverso, piuttosto che il solito balletto. E ho pensato a un’interprete che avesse qualcosa di selvaggio e che non fosse troppo in linea con i canoni e i cliché della danza classica.

Da quello che ho visto, in Carmen sembrano convivere molto bene le due anime della danza: sia classica che contemporanea. 

Questo fa parte della mia storia. Esistono due fasce di autori: quelli che amano le rivoluzioni e quelli che al contrario preferiscono le evoluzioni. Io sono una persona che ama le evoluzioni. Io ho anche un mio pensiero e cioè che le rivoluzioni sono importantissime nella storia dell’umanità ma molto spesso tendono a finire e rappresentano di fatto un corto circuito, mentre le evoluzioni… le evoluzioni sono quelle che in qualche modo aiutano a crescere in modo più naturale e armonico. La danza classica accademica, quella che noi chiamiamo così, era quella che in realtà era contemporanea nel 1850. E nel 1900 lo era ancora, ma c’erano già nuove forme e poi ci sono stati tanti movimenti nella danza di rottura con il classico — che poi significava il contemporaneo di allora — ed erano nuove forme di linguaggio. Tutto questo ha contribuito a una naturale crescita della danza. Nella musica abbiamo avuto fenomeni come Stockhausen, autori che erano molto in voga negli anni ’60 e ’70, ma poi quel tipo di ricerca in musica non si fa più. E così, anche nei grandi teatri d’opera e nelle mega compagnie classiche, il tipo di danzatore che si cerca è un danzatore che ha un linguaggio molto tecnico, molto classico, ma nello stesso tempo che ha avuto altri tipi di formazione, anche nel contemporaneo. Questo è il mio pensiero. Quindi io non posso far altro che questo: io ho avuto danzatori classici e uso un linguaggio che proviene dal classico, però, a seconda della storia che devo raccontare, adeguo il registro: se devo fare Schiaccianoci è ovvio che userò un linguaggio più classico, ma lo farò (Lo Schiaccianoci ndr) in un altro modo: togliendo magari tutta quella pantomima che si faceva nell’Ottocento. Se, al contrario, devo fare un’opera contemporanea, agisco di conseguenza.

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Fino a che punto è lecito trasgredire, da parte di un coreografo o di un regista, quelli che sono i diktat di un autore? Mi spiego: Bizet ha ambientato la sua storia nel sud della Spagna ma tu invece hai fatto altro e comunque ha funzionato.

Molto bella la domanda ma di difficile risposta. Chiaramente non esiste una risposta universale, io ho grandissimo rispetto per le opere. Sono molto incazzato quando le persone sfruttano la fama di un titolo per fare botteghino. Mi rendo conto che la storia della cultura è un accumulo di mattoni messi uno sopra l’altro, inevitabilmente e ineluttabilmente. I pittori prendevano lo stesso soggetto e in dieci, a volte, dipingevano lo stesso quadro semplicemente per confrontarsi l’un l’altro e ci sono state opere meravigliose. Non so quante Cenerentole ci sono o quante Biancaneve… la risposta è difficile. L’importante è conservare il rispetto assoluto dell’opera originale. Ed è importante dichiarare  i propri intenti, le motivazioni di quello che si fa, nel momento in cui tu vai a toccare un’opera originale. Io non sto dicendo: “faccio la Carmen di Mérimé”, io sto dicendo “questa è la Carmen vista con gli occhi di Luciano Cannito, in cui ho usato i pezzi dell’opera originale come simboli e come archetipi”. Ecco perché ho voluto mantenere una parte della musica originale ma anche usare come musica dei pezzi di recitativi, recitativi che non ho impiegato nella loro forma canonica ma invertendone le parole in modo che non avessero più un senso logico ma traducessero in senso musicale il recitativo: come ad esempio avviene nel caso del senso di angoscia del brigadiere (Don José) che incontra questa donna (Carmen). Se tu lo fai in un modo sincero e che cioè rappresenta una tua visione, va bene; oggi secondo me dire Carmen è come dire Cassandra o Medea. Ci sono dei nomi femminili che nel momento in cui tu li senti pronunciare automaticamente immagini un mondo. Immagini una storia. Cassandra è ormai sinonimo di una donna che prevede cose, a cui nessuno crede, mentre Medea rappresenta la tragedia di una madre; questi nomi e figure oramai sono diventati degli archetipi e non credo si debba cercare minimamente di rifare l’opera così com’era. E poi chi fa danza adotta un altro tipo di linguaggio. Se io dovessi fare un’opera lirica, chiaramente, non potrei prescindere né dalla musica, né dal libretto. Facendo danza io ho la stessa libertà che avrei se fossi un pittore che va a vedere Tosca a teatro e poi realizza un quadro ispirandosi all’opera appena vista. E nessuno penserebbe al plagio. Insomma: io ho assistito a un’opera lirica e ne ho fatto un quadro. Una cosa importante, rispetto alla prima versione, è che in questa con Rossella io ho aggiunto un attore e pertanto c’è un testo breve che ho scritto per cui rendo il tutto ancor più teatrale. Cioè ho voluto spiazzare ancora di più il pubblico rispetto a quello che si può aspettare. Io odio i preconcetti, odio gli stili che credo siano i limiti della fantasia, mi piace sorprendermi ed essere sempre nuovo. Credo che in Carmen sia tutto molto magico, ci sono delle luci meravigliose di Alessandro Maso, c’è un’atmosfera molto bella nello spettacolo. E se ancora, a distanza di anni, lo si fa, credimi, un motivo ci deve pur essere!

SINOSSI

Dopo un viaggio estenuante un gruppo di profughi, sfruttati dallo scafista Escamillo, approda a Lampedusa. Appena giunti sull’isola, i disperati si trovano subito le forze dell’ordine alle costole. Tra loro vi è anche Carmen, giovane e indomita bellezza di un imprecisato Sud del mondo, che attrae come una calamita Don Josè, carabiniere ligio al proprio dovere ma che cede di fronte alle sue grazie. Una passione sfrenata lo porterà a voler dominare la giovane donna fino a chiuderla in una vita fatta di perbenismo e abitudini piccolo borghesi alle quali Carmen non vuole e non può adattarsi. Noia, solitudine e angoscia stringono la giovane donna in una prigione di mediocrità dalla quale lei cercherà di fuggire. Ritornata dai vecchi amici, nel campo profughi, si ritroverà tra le braccia di Escamillo, uomo del successo effimero, essere superficiale e spregevole, ben consapevole della sorte che la attende.

Dopo Bologna lo spettacolo sarà a ROMA dal 7 al 10 aprile e a MILANO il 25-26 maggio 2022.

BIGLIETTI ON LINE QUI o presso la biglietteria del teatro.

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INFO

CARMEN
Domenica 13 marzo2022 ore 18:00 
al Teatro Celebrazioni di Bologna
Via Saragozza 234, BOLOGNA

Produzione Roma City Ballet Company Scarl
balletto in due atti di Luciano Cannito
con Rossella Brescia
musica George Bizet e Marco Schiavoni,

 

 

 

 

 

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Daniela Ferro, giornalista pubblicista, legge, scrive, ascolta ma soprattutto annusa. Appassionata di rose e di fragranze vive con 3 gatti, 3 conigli, due tartarughe, un cane e oltre 400 piante di rose che conosce e coltiva personalmente nonché un imprecisato numero di bottiglie di profumo.

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