OSCAR 2020 — Non accenna a placarsi il clamore suscitato nella notte degli Oscar da Parasite, premiato a sorpresa dall’Academy con la più ambita delle statuette chiamando sul palco per ben quattro volte l’attonito regista sud coreano Bong Joon-ho. Qualche riflessione a freddo su questa epocale svolta “ad est”.
Nella notte degli Oscar, la più attesa dell’anno, il regista sud coreano Bong Joon-ho per ben quattro volte ha abbracciato, con calore e gratitudine, la dorata statuina. Con la sua ultima fatica cinematografica, Parasite, ha solcato il red carpet delle star con allegria, portando con se come portafortuna una trionfale Palma d’oro al 72º Festival di Cannes, numerosi riconoscimenti internazionali e tre Golden Globe. La vittoria nelle prestigiose categorie di Miglior sceneggiatura originale, Miglior regia, Miglior film e Miglior film internazionale lo iscrive di diritto non solo nella storia del cinema del suo paese ma anche in quella del cinema Hollywoodiano. Lo stesso in cui gravitano quei registi americani da lui tanto amati, come Martin Scorsese e Quentin Tarantino, per cui ha speso, durante la serata, parole di grande elogio e deferenza.
Passata l’euforia e la gioiosa festa alcolica, quella promessa scherzosamente da Bong Joon-ho nel suo discorso di ringraziamento, si può analizzare a mente più lucida la portata di questo clamoroso e inatteso successo.
ANTEFATTI E PRECEDENTI PIÙ O MENO ILLUSTRI
Parasite per la verità non è la prima pellicola non in lingua inglese a vincere la statuina per il Miglior Film.
Ci era già riuscito, nel 2012, il silente The Artist di Michel Hazanaviciu, un film che racconta la caduta di un divo del cinema muto (Jean Dujardin) agli albori del sonoro. Un dichiarato atto d’amore per l’epoca d’oro di Hollywood, che per quanto non in lingua inglese era ancora perfettamente inserito nel gusto rassicurante della tradizione hollywoodiana.
Ben più scalpore ha suscitato l’anno scorso il capolavoro in bianco e nero multilingue di Alfonso Cuarón, Roma, che però è solo riuscito a sfiorare il più ambito dei premi Oscar, battuto da un ben più accademico Green Book.
La sua presenza, e due statuette tutt’altro che trascurabili come Miglior regia e Miglior film straniero, hanno comunque preannunciato l’apertura dell’Academy al nuovo mondo oltre i confini cinematografici degli Stati Uniti, spianando la strada alla vittoria di Bong Joon-ho.
IL CASO PARASITE
Gli addetti ai lavori non sono unanimemente concordi nel trovare Parasite un capolavoro assoluto del cinema sudcoreano. Per molti di loro altri e più illustri nomi come Park Chan-wook e l’inarrivabile Kim Ki-duk sono ancora da considerarsi, a dispetto di questa pioggia di statuette, registi più talentuosi e insuperati maestri.
Eppure, il sorprendente ritratto di lotta-di-classe-in-un-interno di Parasite ha convinto prima di loro i gusti assai tradizionali dei selezionatori, per di più nel momento esatto in cui alcuni generi tanto cari all’Academy erano perfettamente rappresentati da tre registi fuoriclasse.
Scorsese, Mendes e Tarantino hanno innegabilmente spinto al massimo delle potenzialità il gangster movie, il cinema di guerra e il racconto sospeso tra realtà e finzione. Ma la statuetta più prestigiosa, per loro, non è arrivata. Nè questa volta ha vinto la storia strappalacrime o quella in costume, non il politically correct o la performance trasformista di un attore.
In questo quadro la meritata vittoria di Parasite è sembrata a tratti strumentale.
Il trionfo di questo film d’autore, capace di catturare il grande pubblico e pure la scomposta, patetica ira di Donald Trump — che avrebbe preferito a Parasite un film come Via col Vento, forse più per nostalgia di un passato schiavista che per convinzione culturale — trascina con sé alcune ombre. Che sono poi forse anche le prime scintille di un futuro prossimo venturo.
LA NOUVELLE VAGUE COREANA TRA SUCCESSI DI PUBBLICO, NUOVA DISTRIBUZIONE E INTERESSI GLOBALI
Una delle più forti perplessità riguarda l’eterna lotta tra il circuito tradizionale dell’industria cinematografica e le nuove piattaforme di produzione e distribuzione.
Se da una parte le presenze agli Oscar di Roma nel 2019 e, quest’anno, di Storia di un matrimonio di Noah Baumbach, entrambi prodotti da Netflix, paiono muoversi sulla linea del politically correct, dall’altra il caso di The Irishman – nessuna statuetta vinta – dà certamente da pensare. Il capolavoro e testamento spirituale di Martin Scorsese, targato Netflix, meritava infatti pienamente le dieci candidature ma non ha ottenuto nessun premio: giudizio equo o implacabile vendetta per l’accordo del grande regista con la società californiana?
Farebbe propendere per questa ipotesi la strepitosa creatività e la salute economica (leggi: capacità di generare introiti) del panorama cinematografico sudcoreano. Una vera e propria Nouvelle Vague di titoli e autori che ha invaso il piccolo e grande schermo d’occidente. Nel desolante e asfittico panorama attuale, colmo di remake strategici e trite e ritrite avventure di super eroi, riconoscere nuove e più originali idee come future e proficue collaborazioni sembra una scelta quasi obbligata.
Che le quattro statuette siano frutto di una limpida vittoria o di una lungimirante strategia di mercato, va detto però che Parasite merita sicuramente la visione: per l’ipnotica struttura narrativa, il sapiente intrecciarsi di dramma a tinte noir e commedia, per i suoi tocchi grotteschi e i lampi di gore.
La recente insinuazione del produttore indiano P.L. Thenappan che accusa Bong Joon-ho di plagio per aver copiato il suo film, Minsara Kanna, non sembra aver offuscato la sua fama. Il record d’incassi generato in Italia e nel mondo, una cifra che si aggira intorno ai 200 milioni di dollari, racconta che Parasite è riuscito a mettere perfettamente d’accordo critica e pubblico. E ben presto lo ritroveremo anche trasformato in serie TV.
Segno di un fatto assolutamente inconfutabile: il cinema d’oriente è oramai inarrestabile.
PARASITE
Regia di Bong Joon-ho. Genere: drammatico. Distribuito da Academy Two. Corea del Sud, 2019. Prima uscita al cinema: novembre 2019. Nelle sale da febbraio 2020.
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