MILANO — Dopo il successo ottenuto al Teatro Nuovo di Milano, l’arte di Banksy si sposta a sorpresa in Stazione Centrale, dove si arricchisce di nuove opere, alla loro prima apparizione in Italia, accessibili al pubblico fino al 31 maggio 2022.
Imprevedibile come sempre, Banksy fa tappa, senza preavviso, alla Stazione Centrale di Milano. Qui infatti il 3 dicembre si è trasferita a sorpresa la mostra itinerante “The World of Banksy. The Immersive Experience”, appena conclusa al Teatro Nuovo di Milano e reduce dalle precedenti edizioni di Parigi, Barcellona, Praga, Bruxelles e Dubai.
L’esposizione cambia dunque location ma non città, e rimarrà a Milano non solo a Natale e Capodanno ma anche oltre, con una coda lunga che, inizialmente in programma fino al 27 febbraio, è stata prorogata al 31 maggio.
Nuovo format, nuove opere: accanto ai più iconici e già noti capolavori come “Flower Thrower” e “Girl with Balloon”, che lo hanno reso famoso in tutto il mondo, l’esposizione si arricchisce di 30 nuovi lavori mai esposti prima in Italia, tra cui “Ozone Angel”, “Steve Jobs”, “Napoleon” e “Waiting In Vain”.
THE WORLD OF BANKSY. LA MOSTRA
Le opere esposte, in totale 130, sono ospitate all’interno della Galleria dei Mosaici, lato IV Novembre della Stazione Centrale, dove trovano spazio anche una speciale sezione video, che ripercorre la storia dei murales realizzati da Banksy in tutto il mondo e ne rimarca i messaggi sociali, e una serie di lavori realizzati da altri street artists di tutte le parti del mondo.
Il dato nuovo però è che si tratta della prima volta di Bansky in una stazione — o almeno la prima volta che il noto artista senza identità (o chi per lui) elegge una stazione a spazio espositivo. La notizia ovviamente non poteva non far clamore: i titoli sulla stampa si sprecano e c’è già chi si domanda se questa strana “mutazione” non sarà la prima di una lunga serie. Dovremmo forse aspettarci di vederlo apparire, da qui in avanti, in altre stazioni italiane? E che significato ha questo strano stop in due tappe, in un’unica città? Ma soprattutto: perché Milano e perché proprio la Stazione Centrale?
BANKSY A MILANO CENTRALE.
NOVITÀ, RITORNO ALLE ORIGINI O STRATEGIA?
Nelle comunicazioni ufficiali della mostra si legge che: “la stazione è uno dei luoghi che più rappresenta la street art e il linguaggio universale di Banksy”. Inoltre, la stazione di Milano sarebbe stata scelta (anche) per il suo essere “un punto di riferimento nel contesto urbano, accessibile e sostenibile, luogo identitario, relazionale e storico: un posto per le persone, abitato dalle persone, che qui hanno la possibilità non soltanto di viaggiare e vivere nuove esperienze ma anche di arricchire il proprio bagaglio culturale e di guardare al nuovo”.
È anche vero però che le classiche mostre su Banksy, ufficiali o meno che siano, si rincorrono ultimamente in giro per l’Italia con un ritmo a dir poco frenetico, per di più sempre collocate in luoghi della cultura alta e sedi ultra istituzionali, quando non smaccatamente commerciali. L’impressione è che la cosa, che inizialmente aveva fatto scalpore, cominciasse a scadere nel “too much”, e un cambio di passo fosse necessario.
Nel 2020, tanto per fare un’esempio, di mostre su Banksy in Italia ce ne sono state ben 4 in contemporanea (a Genova, Brescia, Napoli e Ferrara) e solo in questo scorcio di fine 2021 ce ne sono già 3, senza contare quella di Milano, in procinto di contendersi i visitatori nel periodo natalizio: Bansky. Building Castles in the Sky a Parma, a Palazzo Tarasconi, aperta fino al 16 gennaio 2022; Former Artist Known as Bansky a Venezia, al Museo della Laguna Sud di Chioggia, aperta fino al 9 gennaio. E All About Banksy al Chiostro del Bramante a Roma, aperta anch’essa fino al 9 gennaio 2022.
In questo panorama, The World of Banksy a Milano Centrale completa il poker ma spicca se non altro per innovazione, tentando di sottrarsi al rischio ripetitività (e dunque banalizzazione) almeno quanto a location e opere esposte.
E se è vero che nelle iniziative di Banksy sono sempre le opere ad avere l’ultima parola su tutto, parlando in vece dell’artista e sottraendosi con lui ad ogni manipolazione, sarà meglio dare un’occhiata più da vicino per vedere a cosa ci rimandano e quali riflessioni suggeriscono.
THE WORLD OF BANKSY: LE NUOVE OPERE
Le nuove opere esposte in Stazione Centrale sono 30 ma nelle comunicazioni ufficiali relative alla mostra sono sempre e solo 4 quelle espressamente citate, dunque emblematiche dell’esposizione: “Ozone Angel”, “Steve Jobs”, “Napoleon” e “Waiting In Vain”.
La prima, “Ozone’s Angel”, raffigura un angelo vestito con un giubbotto antiproiettile che tiene in mano un teschio ed è dedicata alla memoria di Ozone, uno street artist londinese che aveva sovrascritto con alcune sue frasi un’opera controversa di Bansky, Pulp Fiction, realizzata nel 2002 in prossimità della stazione metropolitana londinese di Old Street. La sovrascritta di Ozone (“Se vi piace, la prossima volta la lascio”) era un paradossale tributo all’opera di Banksy: intendeva infatti ironizzare sulla prevedibile cancellazione dell’opera da parte dell’amministrazione cittadina, ma di fatto la sfregiava nel momento stesso in cui intimava ad altri di non coprirla. Per ironia della sorte, questo fu l’ultimo lavoro di Ozone, poiché di lì a poco il giovane street artist morì investito da un treno assieme ad un amico. A quel punto fu Banksy stesso a cancellare l’opera, ricoprendola di vernice nera e sovrascrivendola col nuovo murale, che rimane a testimonianza di un gioco complesso di scritture, riscritture e cancellazioni ma rimanda anche a concetti come possesso e appropriazione indebita, trasformazione e morte, dove gli angeli rinascono dalle proprie ceneri ma solo se dotati di giubbino antiproiettile.
Il bollino giallo sul giubbino dell’angelo non fa ben sperare per nessuno.
“Steve Jobs”, per contro, fece la sua prima apparizione nel campo profughi di Calais, in Francia, e ci invita a riflettere sull’ironia della storia e i nostri ipocriti preconcetti. Rappresenta infatti un anomalo Steve Jobs nelle vesti di profugo, che fugge come un ladro portando con sé come bottino un computer e un sacco a spalla. L’opera allude al fatto che il padre di Steve Jobs, Abdulfattah John Jandali, giunse in Usa dalla Siria e, se gli Usa non lo avessero accolto, quegli stessi americani che oggi considerano i rifugiati una minaccia per la nazione avrebbero dovuto rinunciare a 7 miliardi di introiti, quelli che Jobs paga loro ogni anno in tasse.
“Napoleon” rilancia le stesse tematiche ma in area francese. L’opera apparve infatti per la prima volta in Avenue des Flandres a Parigi (nel quartiere popolare in cui tendopoli di migranti vengono regolarmente smantellate), e rivisita il celebre dipinto di David “Napoleone che attraversa le Alpi”. Il mantello del condottiero gli si avvolge intorno al volto in una folata di vento e la figura si trasforma in quella di un classico rifugiato, sagoma che stride col suo rosso acceso sul bianco nero di un supponente orgoglio nazionale.
“Waiting In Vain” apparve infine nella zona di Hell’s Kitchen, a New York, davanti al noto night club Huster. Il titolo completo dell’opera è in realtà ”Waiting in vain… at the door of the club” e raffigura un uomo che aspetta invano fuori dalla porta di un locale di striptease, con un mazzo di fiori rossi i cui petali cadono a terra.
In questo caso si tratta della risposta di Banksy alla caccia all’uomo che fu scatenata contro di lui dalla polizia della Grande Mela, nel 2015, quando, dopo le apparizioni di alcuni suoi murales nelle strade della città, l’amministrazione si era detta convinta di poterlo individuare e ovviamente fermare. Per tutta risposta, Banksy inondò le strade di New York con un murale al giorno per 24 giorni, attirando in città numerosi estimatori ansiosi di vederlo all’opera. Il murale in questione, in particolare, apparve dopo l’unico giorno in cui si prese una pausa, dando l’illusione di aver raccolto l’out-out dell’amministrazione, smettendo di invadere la città con le sue opere. Cosa che puntualmente non avvenne.
In sintesi: street art, preconcetti, sviste prospettiche, grande arte e sogni di gloria, inviti a darsi una regolata e inconcludenti cacce all’uomo con sberleffo finale. Cosa concludere?
Forse che la mostra milanese, tra le tante, è l’unica veramente attribuibile a Bansky, che rivendica con essa il diritto di sottrarsi alla mercificazione dilagante per tornare simbolicamente alle origini, in un luogo più vicino alla gente comune, da cui la street art ha preso vita e sempre ritorna?
O forse che lo spiazzante cambio di date e location è solo un modo per rilanciare la girandola delle mille mostre a suo nome, ufficiali o meno che siano, evitando di cadere nella trappola della prevedibilità, e mantenendo sempre alto l’interesse del pubblico (e le quotazioni di mercato)?
O forse ancora che, dopo i topi dipinti a ripetizione sui muri del bagno di casa, dove passò il lockdown postando murales casalinghi sui social quando era in gran Bretagna a inizio pandemia, ha intenzione di tornare a viaggiare o, nella peggiore delle ipotesi, svernare in l’Italia, dove grazie alle misure intraprese la pandemia sembra sotto controllo?
Come sempre accade con Banksy le domande sono tante e le risposte possibili pure, ma la sua ironia lascia aperte tutte le porte e finisce per lasciarci a girare in tondo attorno alla molteplicità di interpretazioni possibili.
Forse allora le domande sono tutte legittime e le risposte tutte corrette. O forse tutte sbagliate. O forse ancora, come certifica il gigantesco bollino UnOfficial che compare sui manifesti della mostra e che l’artista usa da tempo per (de)legittimare ogni sua apparizione istituzionale, questa, come tutte le altre, non è nemmeno una mostra di Banksy.
Varrà la pena rifletterci sopra… e magari vedere la mostra.
INFO
The World of Banksy. The Immersive Experience
3 dicembre 2021 / PROROGATA AL 31 maggio 2022
Milano, Galleria dei Mosaici, lato IV Novembre della Stazione Centrale
BIGLIETTI ONLINE QUI: ticketone.it/banksy-milano-centrale