Bologna Experience. Pupi e Antonio Avati raccontano il legame con la loro città Un incontro con il noto regista e con il fratello produttore ha inaugurato il lungo finissage della mostra di Palazzo Belloni che viene prolungata di due settimane e che dal 6 al 22 ottobre si arricchisce di nuovi contenuti dedicati a Pupi Avati e alla sua Bologna.

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BOLOGNA – Prorogata fino al 22 ottobre Bologna Experience, la mostra diffusa allestita da giugno nei prestigiosi spazi di Palazzo Belloni, che questo mese si arricchisce di nuovi contenuti e propone una “mostra nella mostra” dal sapore cinematografico. Dedicata a Pupi Avati, la nuova esposizione si configura come un’antologia di scene memorabili: tra pillole video, fotografie, album di ricordi e immagini di scena, una visione inedita della città filtrata attraverso lo sguardo del noto regista e del fratello produttore, il duo bolognese più cinematografico di sempre. 

Applausi, risate e anche qualche lacrima di commozione, questo in poche parole il riassunto della conferenza che hanno tenuto a Palazzo Belloni i fratelli Avati in una sala piena di giornalisti, fan e amici, che si sono divertiti e a tratti emozionati ascoltando gli aneddoti e i racconti di vita di due personalità che hanno fatto la storia del nostro cinema. E la cui visione di Bologna sarà fruibile attraverso foto, immagini e spezzoni di film dal 6 al 22 di ottobre all’interno di Bologna Experience, nella prestigiosa sede di Palazzo Belloni.

I ricordi legati a Bologna dei fratelli Avati si intrecciano al legame di Pupi con Fellini e Pasolini, passano per l’originalità con la quale il regista sceglie spesso i protagonisti dei suoi film e finiscono con un dolce pensiero legato alla vecchiaia e al tempo che scorre inesorabile.

Pupi e Antonio si paragonano e vengono paragonati scherzosamente ai fratellli Coen o ai nostri italianissimi Vanzina, uno davanti alla macchina da presa e l’altro dietro le quinte in veste di sceneggiatore e produttore, ma sempre legati da un sodalizio professionale che li ha portati a completarsi vicendevolmente. Dal casting degli attori alle storie da narrare – reali o inventate che fossero per dare modo a Pupi di sfogare la sua creatività e creare personaggi surreali ed eccentrici – tutte le scelte sono sempre state fatte insieme.

Pupi racconta della scoperta di Fellini, di come il film Otto e mezzo gli abbia cambiato la vita e di come sia stato la molla che gli ha fatto prendere la decisione di intraprendere la strada del cinema. L’incontro con Fellini fu molto particolare. Pupi Avati mirava a conoscerlo di persona ma il grande regista non aveva mai risposto alle sue lettere. Viene però fortuitamente a sapere che Fellini ogni mattina tra le 8 e le 8.15 passa da via Margutta. Pupi Avati si apposta e lo segue per quattro giorni senza mai rivolgergli la parola fino a quando, il quarto giorno, vedendo la paura negli occhi del suo idolo (erano gli anni 70 e Fellini probabilmente temeva di essere seguito da un brigatista) finalmente si palesa rivelando il suo nome. Fellini allora si scioglie, lo abbraccia e gli chiede: ”Ma ti piace il risotto? Tu non sai come lo fa Giulietta”. Pupi Avati rimane un attimo sorpreso perché da un regista premio Oscar tutto si aspettava meno che quella frase e da quella volta, racconta, durante i successivi incontri Fellini gli ricorderà sempre il risotto di Giulietta anche se non lo inviterà mai a casa sua a mangiarlo.

Il maestro Avati ricorda poi un altro episodio della sua vita legato al cibo e ad un altro grande regista: Pierpaolo Pasolini. Si trovavano insieme a casa di Pasolini a scrivere una sceneggiatura molto forte e che trattava di argomenti piuttosto scabrosi quando la madre di Pasolini si affacciò sulla porta e gli disse: “Paolo per stasera le melanzane le vuoi fritte o alla piastra?”. Avati tratteggia così il duplice legame di Pasolini con la famiglia, un legame di forte contrasto ma allo stesso tempo di profonda commistione: da una parte la classica famiglia friulana, molto unita nella quotidianità, e dall’altra un tormentato Pasolini, completamente differente da tutto il resto dei suoi componenti.

I due fratelli hanno poi ricordato insieme alcuni episodi legati alla scelta degli attori per i loro film, nei quali non si sono mai fatti scrupolo di effettuare scelte coraggiose come selezionare attori che non erano propriamente “in auge” al momento della scelta, contribuendo così a lanciarli – o ri-lanciarli – in film d’autore come avvenne ad esempio per Abatantuono.
Scelte coraggiose e non scontate come quella di far esordire Katia Ricciarelli che, nonostante l’incertezza iniziale e dopo appena due giorni di set, si dimostrò una attrice preparata e disciplinata arrivando poi a vincere il Nastro D’Argento per quella interpretazione.

Dopo tante risate però Pupi Avati, alla fine dell’incontro, lascia il pubblico con una riflessione dolce amara sulla vecchiaia, dicendo che dopo aver parlato con una platea di spettatori vuole sempre lasciare loro qualcosa di profondo,  visto che, a 79 anni, si trova ad aver già vissuto gran parte della sua vita. Comincia così il suo racconto rifacendosi alla cultura contadina, secondo la quale la vita è come una collina, che si sale durante gli anni giovanili nell’illusione di non essere ancora stati risarciti e sicuri che in cima arriverà il giusto riconoscimento.

Secondo Pupi Avati la vita è come un’ellissi divisa in quattro quarti: l’essere umano da bambino incomincia a imparare e nel primo quarto di vita pensa che le cose esistano per sempre. Nel secondo quarto invece entra nella società e continua ad imparare ma sta arrivando in cima, così guarda indietro e vede che il tratto che ha lasciato dietro di sé è meraviglioso mentre quello davanti non più così bello. Incomincia quindi a piacergli il ricordo e a fargli paura il futuro e ha così inizio il percorso del ricordo, cioè il terzo quarto dell’ellissi, dove l’uomo comincia a disimparare perché il fisico non è più così pronto come una volta ed è, questo, l’inizio del suo viaggio di ritorno. Le persone del terzo quarto pensano con grande nostalgia alla loro giovinezza. Il quarto quarto è invece la vecchiaia, piena di insidie e dove domina la regressione, una sensazione di ritorno netto verso casa e alla nostalgia della giovinezza si sostituisce la nostalgia dell’infanzia. Il vecchio e il bambino hanno infatti una cosa in comune: la vulnerabilità. E Pupi conclude dicendo: “Infatti io vorrei solo una cosa ora, tornare bambino, nella mia cucina di Via San Vitale, con mio padre e mia madre”.

Bologna Experience, la mostra, è aperta al pubblico da giugno ma è solo nelle prossime due settimane, dal 6 al 22 ottobre che si potranno ammirare i nuovi contenuti dedicati a Pupi Avati. Una mostra nella mostra con pillole dei suoi film,  immagini e ricordi su Bologna e per la sua Bologna.

In esposizione anche una serie di fotografie selezionate tra le tante esposte nella mostra del 2014 “Pupi Avati, parenti, amici e altri estranei”, retrospettiva curata della Cineteca di Bologna, che unisce in un unico percorso visivo album di famiglia e immagini di scena, tra infanzia, adolescenza e maturità dei due fratelli Avati, compagni di avventura sullo schermo così come nella vita.

Per info e prenotazioni:
Bologna Experience
1 giugno – 22 ottobre 2017
Palazzo Belloni, via Barberia 19
40123, Bologna

www.palazzobelloni.com

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