Intervista con Martina Bertoni per il suo nuovo album “All The Ghosts are Gone”

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All the Ghosts are Gone, Martina Bertoni. Falk Records (8 gen 2020, ALBUM COVER)

ALL THE GHOSTS ARE GONE – La violoncellista che si confronta con elettronica e nuovi linguaggi ci parla del suo progetto e del suo percorso.

All the Ghosts Are Gone è il titolo dell’album di Martina Bertoni uscito a gennaio 2020 sull’etichetta islandese “FALK Records”. Martina Bertoni nel 2018 ha pubblicato il suo primo EP da solista, In A Paradise You Would Be Happy, seguito da The green EP.

La violoncellista italiana di stanza a Berlino fa parte delle nuove generazioni di artisti impegnati nella decostruzione del ruolo dei loro strumenti “tradizionali” all’interno delle nuove dimensioni formali rese possibili dall’innovazione tecnologica, in un territorio ibrido posto fra la sperimentazione colta e l’underground della popular music.

Un territorio di frontiera che ospita una scena sempre più vasta, fatta di personaggi alle prese con vari strumenti classici, dall’arpa al violoncello, come Julia Kent o Mary Lattimore, e che, in alcuni casi, si sono anche elevati all’attenzione delle grandi produzioni come Colin Stetson o Hildur Guðnadóttir.
I compartimenti stagni fra i generi che hanno caratterizzato l’ecosistema musicale fino agli anni ’90 si stanno sgretolando, anche se in scene come quella italiana con maggiore difficoltà, permettendo una contaminazione inevitabile, quella fra strumentazione “tradizionale” e nuove tecnologie, come già era avvenuto con l’elettricità nel secondo dopoguerra.
Questa sinergia fra strumenti innovativi e musicisti un tempo relegati a generi musicali “tradizionali” si sta rivelando ricca di sorprese e di nuovi personaggi che caratterizzeranno il futuro del suono.

L’album di Martina si caratterizza per un ottimo equilibrio fra ricerca sonora e sensibilità melodica e ci sono suggestivi episodi ambientali con suggestioni cinematiche. Il suo lavoro di reinvenzione del violoncello l’ha indotta a formulare nuove traiettorie compositive e a ripensare al ruolo dello strumento all’interno della costruzione musicale. I brani si muovono sfruttando varie possibili ricombinazioni messe a disposizione dai trattamenti elettronici del timbro dello strumento.
L’album è stato seguito nel marzo 2020, in piena claustrofobia pandemica, dal singolo In circles of thoughts, un paesaggio sonoro ambientale di grande suggestione introspettiva.

Dato che si tratta di un’artista con un background importante e ricco di esperienze, abbiamo pensato di rivolgerle alcune domande per comprendere meglio la nascita di questi brani.

** INTERVISTA A MARTINA BERTONI **

Dalla tua biografia emerge che pur suonando uno strumento come il violoncello ti è mancato un vero e proprio percorso all’interno della tradizione “classica”, come nasci e ti evolvi come violoncellista?

Il mio percorso all’interno dell’accademia classica è stato completo. Ho iniziato a studiare violoncello molto presto, a sei anni, dopodiché sono entrata in conservatorio e mi sono diplomata, con tutto il corredo annesso di masterclass, corsi di perfezionamento, esperienze orchestrali e di musica da camera. Quando è stato il momento di scegliere di mettersi in fila per le audizioni, ho preferito volgermi altrove. Al tempo studiavo anche all’Università e già da molto avevo iniziato a suonare cose diverse, ad improvvisare, ad ascoltare Balanescu, Kronos Quartet e l’ambiente accademico italiano non sapeva che farsene di me (e viceversa).

Per un breve periodo ho studiato jazz, ma ho trovato un ambiente estremamente conservatore e abbastanza noioso. Ho fatto la valigia e sono andata per breve tempo a New York da Erik Friedlander, musicista fenomenale ed al tempo membro del progetto Masada di John Zorn, per capire davvero come improvvisa un violoncellista. Ho studiato con Ensemble Rechérche in Germania e con membri dell’Arditti Quartet per apprendere molta tecnica relativa al repertorio contemporaneo. Dopodiché la mia strada l’ho scoperta piano piano, ascoltando una marea di musica e di dischi e suonando con moltissimi artisti diversi. Trovare il mio filo rosso è stato un percorso lungo ed ancora non concluso che mi ha regalato esperienze ed incontri meravigliosi e segnanti.

Quando, nel tuo percorso nella musica sperimentale, hai iniziato ad approcciare l’effettistica e l’elettronica?

Sono entrata molto presto in studio di registrazione, ero ancora adolescente, e per me è stata una folgorazione. I primi rudimenti di manipolazione sonora li ho imparati osservando gli artisti per i quali ero chiamata in sessione e trascorrendo ore seduta alle spalle dei produttori con gli occhi fissi sulle schermate di Logic o Pro Tools e sul banco mixer. Dopodiché è intervenuta la pura e semplice pratica a fianco dei musicisti con cui in seguito ho auto il piacere di collaborare. Da quando è nato il mio progetto solista ho voluto spingere al massimo le mie possibilità, e di conseguenza l’uso dell’elettronica è diventato il nucleo centrale del mio lavoro. Per me parlare di uso di effetti è riduttivo, la modifica di un suono ha un ruolo non solo funzionale, per me si tratta di vera e propria poetica della manipolazione.

Oltre a un ruolo prettamente timbrico, l’effettistica introduce nuovi modi di ideare e concepire le forme musicali?

Assolutamente. Per me muta il modo in cui la mente approccia la materia musicale e l’atto compositivo. Fornisce nuove formule per sequenziare il pensiero, ed infatti si parla di sintesi non a torto. Continuo a preferire il termine modulazione a quello di effetto, il secondo termine prescinde un po’ troppo dall’elemento percettivo quando in realtà ciò che avviene è un’alterazione sonora vera e propria. Per me è quando ci sottraiamo a questa gerarchia funzionale (che poi è solo semantica), che si aprono scenari competitivi ed ideali davvero sorprendenti.

Hai avuto delle influenze musicali nel campo della musica elettronica? E quali nel mondo del violoncello?

La lista è lunga e variegata, ma posso sicuramente nominare il dub, William Basinski, Christian Fennesz, sicuramente Alva Noto e Throbbing Gristle. Avvicinandomi di più al mio strumento Alexander Balanescu ed Erik Friedlander sono i due musicisti che mi hanno influenzato di più per il loro essere liberi e potentissimi dentro e fuori le forme.

Quale futuro vedi per l’interazione fra questi generi di strumenti e la tecnologia?

Le possibilità sono davvero infinite, resta da capire dove poi ci si vuole posizionare.

Quali progetti stai prevedendo dopo questo album?

Sto lavorando ad un nuovo disco ed ho due lavori cinematografici in partenza. Speriamo bene.

INFO

All the Ghosts are Gone 
Martina Bertoni
Falk Records
8 gennaio 2020

(Streaming + Download) e Limited edition cassette

BUY NOW: https://amzn.to/2A102mX

https://falkworld.bandcamp.com/album/all-the-ghosts-are-gone
https://martinabertoni.bandcamp.com

All the Ghosts are Gone, Martina Bertoni. Falk Records (8 gen 2020, CASSETTA)

 

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Elettronicista e contorsionista sonoro, deformatore di immagini in movimento, suonatore di chitarre spaziali ha ideato e condotto vari deliri radiofonici nell’etere romano. E’ divenuto produttore con la sua label “Eclectic” dei suoi progetti sonori technoidi pubblicando decine di dischi. Laureato in Scienze della Comunicazione si occupa di marketing delle nuove tecnologie e scrive delle sue allucinazioni uditive su varie webzines musicali

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