BOLOGNA — Sabato 9 febbraio alle ore 21.00 torna sul palcoscenico del Teatro Celebrazioni di Bologna “Play”, uno degli spettacoli di danza più amati della Compagnia italiana di physical theatre Kataklò.
Danza e sport. Una porta da calcio, una racchetta da tennis, biciclette, palloni, occhiali e scarponi da sci. Oggetti di uso comune che diventano strumenti per sperimentazioni beffarde o drammatiche. Affreschi che pulsano nel nero del palcoscenico ed esplodono in mille forme e colori.
Ideato da Giulia Staccioli, poliedrica direttrice artistica e coreografa della Compagnia, Play ha esordito in prima mondiale in occasione delle Olimpiadi di Pechino nel 2008. Ha poi transitato sui palcoscenici dei teatri più importanti di tutto il mondo, riscuotendo successo sia di pubblico che di critica. Più recentemente è stato riproposto, con pari successo, anche alle Olimpiadi di Rio 2016.
Definito “una scossa per l’anima”, “Play” è uno spettacolo costruito come una serie di quadri d’esposizione, vibranti di forza e di colore, ironia e sense of humour. Una combinazione di cartoline artistiche, giunte da tempi e luoghi lontani, nelle quali la danza si amalgama liricamente all’atletica ma non solo: vi sono anche frequenti incursioni nel mondo della ginnastica artistica, ritmica e persino della street dance, il tutto per raccontare le discipline olimpiche, la fatica, il successo e lo sport insieme. La sublime poesia del movimento libero, coreutico, si sposa sul palcoscenico con il gesto imperioso, ieratico e atletico, dando vita a multiformi possibilità. Il pubblico sarà così testimone di uno spettacolo insolito che persino chi non ama la danza tout court apprezza. Le luci, i costumi e l’accompagnamento musicale suggestivo e onirico creato dal noto compositore Ajad contribuiscono anch’essi alla realizzazione di uno spettacolo arioso che merita di essere visto (o rivisto).
In anticipo sulla data bolognese incontriamo Giulia Staccioli, ex campionessa di ginnastica ritmica, con un passato artistico di danzatrice anche presso i Momix, artefice di “Play” nonché direttrice artistica e fondatrice della Compagnia Kataklò.
** INTERVISTA A GIULIA STACCIOLI **
Uno spettacolo presentato alle Olimpiadi di Pechino, quindi pensato per spazi imponenti. Ha subito variazioni per adattarsi a palcoscenici teatrali più ridotti oppure è una sorta di passe-partout?
Diciamo che anche per Pechino c’è stato un riadattamento. Lo spettacolo ha una storia molto lunga, è il primo spettacolo con il quale ho presentato la compagnia (Kataklò ndr) agli esordi. Il pretesto per raccontare lo sport nasceva dal mio desiderio di mettere in comunicazione il mondo della danza con il mondo sportivo: il gesto coreutico con quello atletico. Quindi quale miglior tema se non parlare di sport? Questo è uno spettacolo che lei ha tratteggiato molto bene definendolo “passe-partout” nel senso che è uno spettacolo molto duttile basato su delle idee che hanno la possibilità di essere utilizzate e trasformate – sia per quanto riguarda il numero dei danzatori che degli spazi – ed è anche (Play ndr) uno spettacolo che nasce dal “vuoto”; ogni singola coreografia (perché è uno spettacolo a quadri) ha una sua storia e una sua atmosfera, ha un suo racconto da narrare e la scena è una scena nuda, che si arricchisce solo degli elementi che aiutano la descrizione e la narrazione di un dato sport.
I danzatori inventano lo spazio in tutti i sensi, allora.
Esatto. Lo spazio vive dell’interpretazione e della forza evocativa della coreografia e poi di musica e luci, quindi si caratterizza per duttilità e fruibilità. Play è uno spettacolo che è tutto sulle spalle e sulle gambe dei danzatori. La richiesta è molto alta, sia dal punto di vista proprio fisico che dal punto di vista interpretativo, perché i danzatori devono spaziare tantissimo: da coreografie molto forti e intense, anche dal punto di vista emotivo, ad altre molto ironiche e leggere. Per il pubblico è sempre una sorpresa: ogni volta che si spegne la luce e poi si riaccende si fa un salto diverso nel tempo e nello spazio. Questo però significa, per i danzatori, avere una abilità pazzesca nel cambiare regime. Quest’anno, per la prima volta, presento Play in Italia con 6 danzatori che sono dei veri camaleonti: tre uomini e tre donne che nascono come diplomati dell’Accademia da me fondata 8 anni fa. Quindi freschezza, gioia, grande capacità interpretative e grande fatica!
L’accademia che Lei ha creato le consente di avere danzatori “taylor made” per gli spettacoli, qual è il vantaggio, se esiste, o qual è la sfida in questo?
Io, per come ho sempre vissuto il ruolo, sia come danzatrice prima e come coreografa poi, considero le persone che lavorano con me, persone prima di tutto. E questo vale anche per i miei allievi. Proprio perché ognuno di noi ha una sua storia, un percorso personale anche dal punto di vista della formazione. Io ho ragazzi che vengono dalla ginnastica artistica e ragazzi che hanno invece un percorso attoriale alle spalle. Questo gruppo che presento in Play va dalla danzatrice di formazione classica all’acrobata però, attraverso il lavoro che facciamo in accademia, c’è una formazione molto accurata su tutti gli aspetti. Quindi si studiano materie coreutiche e materie atletiche per poi lavorare nell’integrazione di queste tecniche. Ognuno di loro ha una sua individualità e personalità. Io non ho il classico “corpo di ballo” perché non sono, i miei danzatori, tutti uguali. Ho sempre amato far sì che le coreografie diventassero davvero le loro, e loro diventassero protagonisti di quello che fanno. E di conseguenza ho cercato di lavorare sempre per la valorizzazione dei danzatori, chiedendo lo stesso in cambio: un impegno e una dedizione al lavoro molto importante. Per me lavorare con un danzatore significa lavorare con una persona. Stando insieme tanto tempo si costruisce anche un feeling e un affiatamento dato dalla conoscenza reciproca. Io non ho mai fatto un’audizione per fare una tournée. Ho sempre avuto cast composti da persone fatte crescere al mio fianco ancor prima di avere l’accademia. Ho sempre cercato lo scambio e l’interazione personale, e questo, secondo me, passa nel momento in cui i ragazzi sono sul palco perché si fanno carico della grande responsabilità di portare in scena spettacoli così importanti e, allo stesso tempo, mettono quella cura e quell’esigenza di fare bene perché si sentono “dentro” al lavoro. Nonostante Play sia uno spettacolo che ha più di vent’anni, ho rinnovato il piacere di vederlo, perché ognuno di questi giovani ha portato all’interno di questo lavoro un po’ di sé stesso.
Un’ultima curiosità riguarda il nome, Kataklò. A cosa si deve questa incursione nel mondo ellenico?
Prima di tutto perché io volevo che il nome della compagnia facesse riferimento all’antica Grecia, dove filosofia e corpo andavano a braccetto. Volevo un nome che riportasse a quell’immaginario. Kataklò (“io ballo piegandomi e contorcendomi”, ndt) l’ho trovato mentre scrivevo la mia tesi sulla danza, all’Istituto di Scienze Motorie, e in un testo di Luciano veniva usato proprio questo termine, “Kataklò”, per descrivere una danza non danza, una danza “sbagliata”. Nella danza sbagliata si riesce a trovare dei contenuti imperfetti ma interessanti!
INFO
Play – Kataklò
Sabato 9 febbraio ore 21:00
Teatro Il Celebrazioni, Via Saragozza 234, Bologna 051.4399123
PREZZI (comprensivi di prevendita) da 22€ a 29,00 €
BIGLIETTI in vendita presso la biglietteria del teatro oppure online su www.ticketone.it.
Dopo Bologna lo spettacolo si sposta dal 13 al 17 febbraio 2019 a Milano, al Teatro Carcano.