“Dorian Gray. La bellezza non ha pietà”. Oscar Wilde secondo Pierre Cardin | RECENSIONE Oscar Wilde come non lo avete mai visto. In chiave contemporanea, immersiva, multidimensionale. Nell'interpretazione magistrale di Federico Marignetti per la nuova produzione artistica della Maison Pierre Cardin

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BOLOGNA – Dal ritratto, specchio dell’anima, al video, specchio della società contemporanea. Dal doppio al multiplo. Tra arie operistiche e discese agli inferi di stampo prog-rock, danza contemporanea, canto, recitato e tematiche tanto antiche quanto moderne: la ricerca ossessiva della bellezza, il desiderio di immortalità e conoscenza, il doppio, il dominio e il controllo, la paura. 

Quadri, ritratti, tele vuote, cornici, una tavolozza, una scala, una sedia e pochi altri elementi. Questa in sintesi la scenografia minimalista di “Dorian Gray. La Bellezza non ha Pietà”, rivisitazione contemporanea del famoso romanzo di Oscar Wilde “Il Ritratto di Dorian Gray”. Oggi opera di teatro musicale, in un atto unico, ideata e musicata da Daniele Martini per la regia di Emanuele Gamba, interpretata da Federico Marignetti e prodotta da Pierre Cardin e dal nipote Rodrigo Basilicati, che ne firma anche la direzione artistica.

Quadri, ritratti, tele vuote, cornici e una scenografia minimalista che esplode però fin da subito in un vortice di luci e colori, grazie ad un’impiego immersivo del video che trasforma il palco in un ambiente liquido e visivamente pulsante, mentre effetti scenici di tipo olografico e proiezioni multidimensionali disegnano geometrie oniriche e trasportano lo spettatore in un universo fantastico e coinvolgente, traduzione sensoriale e palpabile del mondo interiore del protagonista.

In scena un solo personaggio, Dorian Gray/Federico Marignetti, o meglio Dorian e il suo doppio, perché attorno a lui danza sempre, per tutta la durata dell’opera – pietosa, struggente, cupa e contorta poi via via sempre più inquieta, sporca e consunta – la sua anima: doppio nel doppio, riflesso tangibile delle nefandezze del protagonista e controparte teatrale, “in vivo”, di quel famoso ritratto che nell’originale letterario invecchiava al posto del protagonista, reso fisico e “corporeo” dalla straordinaria performance del danzatore contemporaneo Marco Vesprini.

Quadri, ritratti, tele vuote e cornici che si fanno sbarre, specchi, porte aperte su universi paralleli ma soprattutto gabbie e prigioni, amplificate da proiezioni multidimensionali che ne moltiplicano i piani di lettura e rendono visivamente attuali e arditamente cinematografiche tematiche antiche.

Al centro del palco ruota su se stessa, lenta e inesorabile, fluida come il fluire della sabbia in una clessidra, una stilizzata struttura quadrangolare aperta sui quattro lati esterni, perno e motore di tutta l’opera. Grande segno vuoto, allegoria fisica, solida e tridimensionale dell’apparenza, attorno a questa spettacolare forma priva di contenuto prendono corpo tanto i monologhi a più voci di Dorian/Marignetti quanto le suggestive schermaglie del protagonista con la sua anima. Evocando ora spazi definiti come lo studio del pittore Basil Hallward, il salotto di Lord Henry Wotton o la soffitta in cui Dorian nasconde il ritratto, ora dimensioni prettamente astratte quali tenebre-luce, interno-esterno, corpo-spirito, ascesa-discesa, a loro volta metafora di assetti valoriali altrettanto duplici, sempre fuori asse e in vorticoso movimento: estasi e perdizione, realtà e apparenza, forma e sostanza, arte e vita.

Sullo sfondo una Londra vittoriana dalle atmosfere crepuscolari sfuma in giochi di luce e colori che non solo traducono in chiave tangibile e onirica la dimensione interiore del protagonista ma disegnano trame e orditi fantastici riempiendo di immagini a tutto campo il più ampio quadro della cornice teatrale.

Specchio di un mondo in vorticoso movimento, diviso tra mille opposti e ossessionato oggi più che mai dalla bellezza, che non si lascia fissare in nessuna cornice e risulta tanto più sfuggente quanto più tenaci sono i nostri tentativi di afferrarla. Un mondo ieri doppio, oggi multiplo, frammentato e multiforme ma sempre comunque paradossale, nella sua avversione per qualunque forma durevole e definitiva.

Maestoso, magnetico ed travolgente lo spettacolo, magnetico, intenso e seducente Marignetti, che regge brillantemente la sfida impossibile di tenere da solo il palco per tutta la durata della rappresentazione. Un’ora e trenta senza intervallo, in cui dà voce al protagonista, duetta con la sua anima ed evoca senza sosta – in un susseguirsi incalzante di monologhi, canto, recitato e danza – tutti i fantasmi del protagonista come anche gli altri personaggi della vicenda.
Lord Henry Wotton, Basil Halloway e Sybil Vane infatti, grandi assenti, non mancano di materializzarsi a tratti sulla scena, evocati da Marignetti in una sorta di schizzofrenia interpretativa, per aleggiare poi a mezzaria, nelle scenografie virtuali, o sul palco, ora libro (Lord Henry Wotton), ora tavolozza (Basil Halloway), ora velo e grande statua dorata (Sybil Vane), controparte femminile di Dorian e del suo sulfureo alter-ego.

Gli abiti di scena, firmati da Pierre Cardin, sono disegnati per sua stessa ammissione con la precisa volontà di mantenere una linea essenziale che non distolga l’attenzione dagli attori e dalla creatività dello spettacolo: un frac grigio dai richiami ottocenteschi attualizzato in chiave moderna, una veste bianca, sinuosa e leggera per l’anima, che ne mette in risalto la fisicità e i movimenti, e infine una splendida veste da camera in raso di seta rosso-porpora-viola dai toni cangianti, emblema perfetto della vanità, per l’unico cambio d’abito del protagonista.

Il grande stilista celebra con questa produzione i 70 anni della sua carriera e non poteva farlo in forma migliore, regalandoci un’opera innovativa e visivamente fantastica che è un tributo alla bellezza, in tutte le sue forme, ma anche l’emblema del suo grande amore per il teatro, per il cinema e per qualunque espressione artistica sappia farsi ponte tra passato e presente per spalancare le porte al futuro.

INFO

Dorian Gray. La Bellezza non ha Pietà
testi e musiche Daniele Martini
con Federico Marignetti e Marco Vesprini
direzione artistica e scenografie Rodrigo Basilicati
arrangiamenti e suono Daniele Falangone
video designer Sara Caliumi
light designer Paolo Bonapace
costumi Pierre Cardin
regia e allestimenti Wayne Fowkes e Emanuele Gamba

www.doriangrayopera.com

SOTTO: Le foto dello spettacolo di venerdì 11 maggio 2018 al Teatro Celebrazioni di Bologna, ©2018 Ph. Donatello Iacobone (all right reserved – use by permission)

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