Un bianchissimo Natale

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Daniela Farnese, Un biachissimo Natale

«Questo Natale non scendo».
Mia madre non dice niente, resta zitta per quella che a me sembra tutta l’eternità, non una parola, un sibilo, nemmeno il rumore del suo respiro.
«Ma’, tutto bene?»
La domanda è retorica, perché lo capisco, lo so che è sorpresa, amareggiata, sconfortata.

Il Natale è sempre stato la nostra festività amata, il momento dell’anno più atteso, l’evento pianificato con più attenzione. Perché la tradizione natalizia è rigorosa in casa Caruso e le regole da rispettare sono poche e semplici: per il cenone della Vigilia e per il pranzo del 25 si prepara, si cucina e si frigge tutto in casa, dall’antipasto al dolce; mentre si mangia non si parla male di nessun amico o parente (nei casi in cui il legame affettivo è dubbio è concesso del bonario pettegolezzo); e soprattutto si sta tutti quanti insieme.

«No, non esiste proprio», risponde finalmente, secca, categorica. «Abbiamo capito, Enzuccia, che ti piace Milano, che ti trovi bene, visto che ci sei rimasta pure da divorziata e vall’a capire come mai, che mi pare che in questi mesi non sei uscita nemmeno con uno straccio di guaglione, mentre io nel quartiere te ne potevo presentare almeno cinque di maschi che ti pigliavano. Ti piace fare la milanese, uscire con le amiche, fare lo sciopping, bere l’eppi aur, ma questo non te lo posso permettere. Il Natale lo devi passare a Napoli. Ma poi non me lo puoi dire così, adesso, che mancano meno di tre giorni! Ci sta tutta la roba da cucinare, i carciofi da friggere, le papaccelle prenotate per l’insalata di rinforzo da ritirare. Ci sono responsabilità sociali! Il meridionale torna sempre a casa per le ricorrenze».

Continua per un po’, un lungo monologo che centra perfettamente il suo obiettivo: farmi sentire in colpa, la peggiore delle figlie, il più chiavica dei membri della famiglia.
«Mi dispiace assai, non puoi capire quanto, ma ho fatto una promessa e non posso tirarmi indietro».

Adele, la mia vicina di casa ha ottantaquattro anni, due figli e tre nipoti che si sono dimenticati di lei, un vecchio televisore a tubo catodico che continua a funzionare come se fossero ancora gli anni ‘90 e un gatto spelacchiato, povera creatura, che mangia una volta al giorno, quando la padrona, piano piano, arriva in cucina trascinandosi col bastone e gli riempie una scodella sul tavolo di biscottini presi al discount che hanno la forma poco invitante del legno a pallet. Vive nella porta accanto alla mia, in un trilocale malandato, comprato dal marito buonanima con la liquidazione da operaio, una camera da letto, un ripostiglio che un tempo glorioso era stato uno studiolo, un tinello e un bagno così antiquato da essere quasi vintage.

Adele era sola da tempo, qualche sporadica visita dell’assistente sociale, una telefonata della figlia maggiore una volta all’anno per controllare che sia ancora viva, un saluto dalle due ex colleghe della fabbrica che ancora riescono a camminare e le chiacchiere con noi vicini che a turno le portiamo qualcosa da mangiare.

Era sola, e triste e si stava spegnendo velocemente.

Poi una sera viene a bussare alla mia porta. È concitata, ha addosso il cappotto e la borsetta, dice che ha bisogno di una mano e mi trascina, zoppicante e arzilla, nel suo appartamento.

«Adelina, ma lei le conosce queste persone?», le chiedo a bassa voce mentre lei, sorridente, si avvicina ai suoi ospiti.
Sul divano scalcagnato c’è una ragazza, alta, molto magra, con il viso tirato e stanco. Ha tra le braccia un bambino piccolo, che dorme. Hanno tutti e due vestiti e scarpe troppo leggeri per l’inverno milanese e la pelle troppo scura per essere parenti stretti della vecchietta.

«Li ho incontrati fuori dalla chiesa, quando sono uscita dalla messa», mi dice e gli occhi le brillano come a una ragazzina. «Signora Enza, non potevo lasciarli lì, a chiedere l’elemosina e a morire di freddo. Avevano fame e tra poco è Natale. Devo fare qualcosa, devo ospitarli qui da me e lei mi deve aiutare».

Le cose sono andate così. La mia vicina ha portato a casa un pezzo di presepe vivente arrivato direttamente dalla Somalia, che deve aver visto e vissuto cose che noi nemmeno immaginiamo, e mi ha chiesto di darle una mano.

Non mi sono potuta tirare indietro.

Ci sarà poi il tempo della burocrazia, delle cose pratiche, delle scocciature. Per il momento, però, la cosa più importante è pulire. Pulire questa casa vecchia e trascurata, pulire la camera che ha così tanta polvere che pare uno scavo di Pompei, il letto, l’armadio, pulire quel bagno che grida aiuto.

Io sono Enza Caruso e so fare questo: detergere, sistemare, tirare a lucido. Sono la più brava e la più veloce di tutti. Questo è il mio superpotere e devo usarlo per regalare a queste donne un bianchissimo Natale.
Passo tre sere intere, rientrata dal lavoro, a far brillare come uno specchio la casa. Il piccolo gioca sul pavimento immacolato col gatto, la mamma riposa sulle coperte che sanno di ammorbidente.

La Vigilia ci stringiamo tutti nella cucina di Adele per improvvisare un menu con quello che sono riuscita a trovare sugli scaffali del supermercato saccheggiati dai milanesi.

Sono felice e allo stesso tempo triste.

Un paio di ore prima di cena suonano al citofono. La vecchietta si spaventa: «Non apra, Enza, potrebbero essere i poliziotti». Si accucciano tutti dietro di me che sollevo la cornetta.

«Enza, apri! Ho guidato per ottocento chilometri e me la sto facendo addosso!».
Pochi secondi dopo, mia sorella Ottavia e mia madre escono dall’ascensore, trascinando enormi pacchi pieni di cibo, come Babbi Natale da rosticceria.
«Il Natale in casa Caruso si festeggia tutti insieme», prova a spiegare mamma ad Adele e alla sua ospite, mentre entra con il passo da padrona di casa.
«Dove serviamo il capitone?», chiede mia sorella.
«Aspe’ che ti aiuto», rispondo, riprendendomi dallo stupore.
«E mi raccomando, non sporcare niente che ho appena pulito».

***

Un bianchissimo Natale è un racconto inedito di Daniela Farnese, già autrice di Donnissima (Rizzoli, 2016), esilarante ed arguto romanzo giallo-rosa, a cui si richiama. Per conoscere meglio Enza Caruso – e naturalmente tutti gli inquilini dell’elegante condominio Liberty di Milano in cui, per la disperazione della madre, si ostina a vivere e lavorare – vedi dettagli sotto.

Donnissima, Daniela Farnese - Rizzoli (2016)


Daniela Farnese
Donnissima
Copertina rigida: 290 pagine
Editore: Rizzoli (15 settembre 2016)
Collana: Rizzoli best
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8817088870
ISBN-13: 978-8817088879
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